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Soldato, Fratello, Stregone
Morgan Rice


Di Corone e di Gloria #5
Morgan Rice è tornata con quella che promette essere un’altra brillante serie, immergendoci in un fantasy di valore, onore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è risuscita un’altra volta a creare un forte gruppo di personaggi che ci fanno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la collezione di tutti i lettori che amano i fantasy ben scritti. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (approposito di L’Ascesa dei Draghi) SOLDATO, FRATELLO, STREGONE è il libro numero #5 della serie epic fantasy campione d’incassi di Morgan Rice DI CORONE E DI GLORIA, che inizia con SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1) . La diciassettenne Ceres, una bellissima e povera ragazza delle città di Delo, nell’Impero, ha vinto la battaglia per Delo, eppure la aspetta ancora una vittoria completa. Mentre la ribellione guarda a lei come nuovo capo, Ceres deve trovare in modo per rovesciare la regalità dell’Impero e difendere Delo dal minaccioso attacco di un esercito più grande di quanto lei abbia mai visto. Deve tentare di liberare Tano prima della sua esecuzione, e aiutarlo a ripulire il suo nome dall’omicidio di suo padre. Lo stesso Tano è determinate a dare la caccia a Lucio dall’altra parte del mare per vendicare l’omicidio di suo padre e per uccidere suo fratello prima che possa tornare con un esercito sulle coste di Delo. Sarà un viaggio insidioso in terre ostili, un viaggio che lui sa bene potrebbe risultare nella sua morte. Ma lui è determinato a sacrificarsi per la sua terra. Ma tutto potrebbe andare diversamente dai piani. Stefania viaggia verso una terra lontana per trovare uno stregone che può mettere fine ai poteri di Ceres una volta per tutte. È decise a mettere in atto un inganno che ucciderà Ceres e trasformerà lei – e il suo bambino non ancora nato – nei governatori dell’Impero. SOLDATO, FRATELLO, STREGONE racconta una storia epica di amore tragico, vendetta, tradimento, ambizione e destino. Pieno di personaggi indimenticabili e azione mozzafiato, ci trasporta in un mondo che non dimenticheremo mai, e ci fa innamorare ogni volta di più del mondo fantasy. Un fantasy pieno zeppo d’azione che di sicuro i precedenti fan di Morgan Rice apprezzeranno, insieme agli amanti di opere come Il Ciclo dell’Eredità di Christopher Paolini… Coloro che adorano leggere romanzi fantasy per ragazzi divoreranno quest’ultima opera di Morgan Rice e ne chiederanno ancora. The Wanderer, A Literary Journal (riguardo a L’Ascesa dei Draghi) Il sesto libro #6 in DI CORONE E DI GLORIA è di prossima uscita!







SOLDATO, FRATELLO, STREGONE



(DICORONE E DI GLORIA—LIBRO 5)



MORGAN RICE


Morgan Rice



Morgan Rice è l’autrice numero uno e campionessa d’incassi della serie epic fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epic fantasy RE E STREGONI che comprende sei libri e della nuova serie epic fantasy DI CORONE E DI GLORIA. I libri di Morgan sono disponibili in formato audio o cartaceo e ci sono traduzioni in 25 lingue.



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Cosa dicono di Morgan Rice



“Se pensavate che non ci fosse più alcuna ragione di vita dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, vi sbagliavate. In L’ASCESA DEI DRAGHI Morgan Rice è arrivata a ciò che promette di essere un’altra brillante saga, immergendoci in un mondo fantastico fatto di troll e draghi, di valore, onore e coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a creare un forte insieme di personaggi che ci faranno tifare per loro pagina dopo pagina… Consigliato per la biblioteca permanente di tutti i lettori amanti dei fantasy ben scritti.”

--Books and Movie Reviews

Roberto Mattos



“Un fantasy pieno zeppo di azione che sicuramente verrà apprezzato dai fan dei precedenti romanzi di Morgan Rice insieme ai sostenitori di opere come il CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini... Amanti del fantasy per ragazzi divoreranno quest'ultima opera della Rice e imploreranno di averne ancora.”

--The Wanderer, A Literary Journal (Parlando de L'Ascesa dei Draghi)



“Un meraviglioso fantasy nel quale si intrecciano elementi di mistero e intrigo. Un’impresa da eroi parla della presa di coraggio e della realizzazione di uno scopo di vita che porta alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per quelli che cercano corpose avventure fantasy: qui i protagonisti, gli stratagemmi e l’azione forniscono un vigoroso insieme di incontri che ben si concentrano sull’evoluzione di Thor da ragazzino sognatore e giovane che affronta l’impossibile pur di sopravvivere… Solo l’inizio di ciò che promette di essere una serie epica per ragazzi.”

--Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy.”

--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro pieno zeppo d’azione della serie epica fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), la Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin “Thor” McLeod, il cui sogno è quello di far parte della Legione d’Argento, i migliori cavalieri al servizio del re… Lo stile narrativo della Rice è solido e le premesse sono intriganti.”

--Publishers Weekly


Libri di Morgan Rice



COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)



DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)

EROINA, TRADITRICE, FIGLIA (Libro #6)



RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)

L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)



LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)



VAMPIRO, CADUTO

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)



APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)





(https://itunes.apple.com/it/artist/morgan-rice/id417552527?l=en&mt=11)





(https://itunes.apple.com/us/audiobook/quest-heroes-book-1-in-sorcerers/id710447409)

Ascolta (https://itunes.apple.com/us/audiobook/quest-heroes-book-1-in-sorcerers/id710447409) la serie L’ANELLO DELLO STREGONE in formato audio libro!


Copyright © 2017 by Morgan Rice. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebookis licensed for your personal enjoyment only. This ebookmaynot be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental.

Jacket image Copyright Ralf Juergen Kraft, used under license from istock.com.


INDICE



CAPITOLO UNO (#u7f0002b0-4c0d-5918-9da8-dab822638fae)

CAPITOLO DUE (#uf8a10ff7-21cc-59a8-a3a5-5665108d7950)

CAPITOLO TRE (#u660e45ea-228c-5526-b4bc-7f98b2fec0c8)

CAPITOLO QUATTRO (#ubbd86554-bf5b-5a04-9d0f-99fefc75c00c)

CAPITOLO CINQUE (#uc52e11dc-a609-5ca1-9c5c-1a78f2354b48)

CAPITOLO SEI (#u15792061-3734-5f9f-942a-a10b65df1abd)

CAPITOLO SETTE (#uf8738e40-4a0e-55ae-9d52-2aa5609feca1)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTICINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINOVE (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Tano fu sorpreso di svegliarsi. Da ciò che la regina aveva detto prima che i soldati lo picchiassero fino a fargli perdere conoscenza, si era aspettato che gli tagliassero la gola e la facessero finita così.

Non sapeva se fosse o meno una buona idea che avessero cambiato idea.

Doveva aver perso nuovamente conoscenza, perché si trovò a guardare il sangue che copriva il pavimento nella stanza di suo padre. Poteva ricordare la sensazione provata mentre teneva suo padre tra le braccia, quell’uomo un tempo forte che ora appariva delicato come un bambino. Nei suoi sogni le sue mani erano ricoperte di sangue.

Sbatté le palpebre svegliandosi del tutto e la luce del sole gli fece capire che non si trattava più di un sogno. Ma il sangue era ancora lì. Le sue mani erano ancora rosse e ora Tano non sapeva quanto di quel sangue fosse suo. Poteva sentire la durezza del ferro contro il suo corpo, ma non si sentiva propriamente in catene.

Eppure non riusciva a concentrarsi, e si trovò a chiedersi quanto l’avessero picchiato per portarlo al punto di non poter ricordare. Tornò con la memoria ai momenti in cui guardava suo padre morire, incapace di fare qualsiasi cosa per aiutarlo.

“Dovrai essere in grado di provare la verità, tutta la verità.”

A suo padre era servita tanta di quella forza per pronunciare quelle parole. Era stato così importante per lui, in quel momento, che Tano potesse dare prova di essere il figlio del re. Forse aveva visto un modo per rimediare ad alcuni dei danni che aveva causato nella sua vita. Forse aveva solo visto il danno che Lucio avrebbe potuto scatenare se avesse avuto il vero potere.

Tano gemette al pensiero di tutto questo, mentre la luce del sole filtrava attraverso i suoi sogni, mentre il dolore li respingeva piГ№ fisicamente. Ma la voce di suo padre persisteva.

“Cadipolvere. Puoi trovare le risposte di cui hai bisogno a Cadipolvere. È lì che lei è andata dopo che io…”

Neanche nei suoi sogni c’era una conclusione a quelle parole, eccetto il vuoto sguardo degli occhi di suo padre. C’era solo il nome di un luogo, l’accenno a un viaggio che avrebbe potuto dirgli tutto.

Se fosse vissuto abbastanza a lungo per farcela.

La coscienza tornò a lui e il pieno peso del dolore venne con essa. Tano si sentiva come se ogni parte del suo corpo fosse livida fino all’osso. Poteva a malapena sollevare la testa, perché aveva la sensazione di poter cadere a pezzi solo con lo sforzo. Sapeva dall’esperienza cosa significassero le costole rotte, e molti altri punti del suo corpo gli donavano ora la medesima sensazione.

Le guardie che l’avevano picchiato non si erano trattenute pensando a chi lui fosse. Se non altro si sentiva come se l’avessero picchiato più forte proprio per quello, punti dalla levatura del suo supposto tradimento o desiderosi di mostrate che non stavano dalla parte del principe ribelle.

Tano riuscì a mettersi a sedere e si guardò in giro. Il mondo vicino a lui sembrava ondeggiare mentre lo faceva. Per un momento pensò fosse un qualche scherzo del dolore, vertigini causate dai colpi alla testa. Poi si rese conto che si stava veramente muovendo e che le sbarre verticali di ferro gli fornivano un costante punto di riferimento mentre il suo movimento faceva ondeggiare il resto del mondo.

“Una gogna,” mormorò Tano, le parole spesse nella sua gola. “Mi hanno appeso a una gogna.”

Un’altra occhiata lo confermò. Si trovava all’interno di una gabbia fatta come quelle in cui alcune graziose nobildonne tenevano un uccellino, solo che questa era grande a sufficienza per un uomo. A malapena. Le gambe di Tano penzolavano tra le sbarre, anche se ben sospese da terra, grazie alla corta catena che teneva la gabbia legata a un palo.

Oltre si trovava un piccolo cortile recintato. Il tipo di posto che poteva essere usato dai nobili per i loro sport, o dove i servitori potevano riunirsi per compiti non particolarmente piacevoli. Degli scoli in mezzo ai sassi mostravano dove il sangue o altro di peggio poteva essere lavato via.

In un angolo le guardie stavano erigendo una piattaforma per il patibolo, senza neanche curarsi di guardarlo. Non stavano assemblando un semplice blocco da decapitazione.

Tano si aggrappò alle sbarre colto da improvvisa rabbia. Non aveva intenzione di farsi rinchiudere in una gabbia come una qualche bestia da macello. Non sarebbe rimasto fermo lì mentre degli uomini facevano gli opportuni preparativi per giustiziarlo per qualcosa che non aveva fatto.

Scosse le sbarre testandole, ma erano troppo solide. C’era una porta con una serratura tenuta chiusa da una catena, ogni anello spesso come il pollice di Tano. La provò, cercando un qualsiasi punto debole, una qualsiasi via di fuga dai confini della gogna che lo teneva in trappola.

“Ehi! Via le mani da lì,” gridò una delle guardie tirando un bastone che andò colpire le nocche di Tano tirandogli fuori un sussulto di dolore mentre tentava di trattenere l’urgenza di gridare.

“Fai il duro quanto vuoi,” disse la guardia guardandolo con evidente odio. “Quando avremo finito con te, griderai.”

“Sono sempre un nobile,” disse Tano. “Ho il diritto di avere un processo davanti ai nobili dell’Impero e di scegliere il modo in cui voglio essere giustiziato, se proprio di questo si tratta.”

Questa volta il bastone andГІ a sbattere contro le sbarre, a un soffio dal suo viso.

“Gli assassini di un re si prendono qualsiasi cosa venga decisa per loro,” rispose seccamente la guardia. “Nessun rapido colpo d’accetta per te, traditore!”

Tano percepì la sua rabbia. Vera rabbia, e quello che sembrava un personale senso del tradimento. Tano poteva capirlo. Poteva addirittura forse significare che quello era un brav’uomo.

“Hai creduto che le cose potessero cambiare, vero?” ipotizzò Tano. Quello era un grosso rischio da correre, ma doveva farlo se aveva intenzione di trovare un modo per provare la sua innocenza.

“Pensavo potessi dare una mano nel rendere le cose migliori,” ammise l’altro uomo. “Poi è saltato fuori che stavi lavorando con la ribellione per uccidere il re!”

“Non l’ho ucciso io,” disse Tano. “Ma so chi l’ha fatto. Aiutami a venire fuori di qui e…”

Il successivo colpo di bastone lo prese alle costole ferite e mentre la guardia si preparava a un altro colpo, Tano cercГІ di trovare un modo per proteggersi. Ma non aveva nessun posto dove andare.

Lo stesso il colpo non andГІ a segno. Tano vide la guardia fermarsi di colpo, abbassare il bastone e poi lasciarsi andare a un profondo inchino. Tano cercГІ di girarsi per vedere cosa stesse accadendo, e questo fece ruotare la gogna.

Quando ebbe fatto il suo giro, la regina Atena era giГ  di fronte a lui, vestita con il nero del lutto che la faceva sembrare il suo boia. Le guardie erano raccolte attorno a lei, come se avessero paura che Tano avrebbe in qualche modo trovato il modo di ucciderla nello stesso modo in cui credevano avesse ucciso il re, nonostante le sbarre della gabbia.

“Perché è appeso qui?” chiese la regina Atena. “Pensavo di aver detto di giustiziarlo e basta.”

“Chiediamo il perdono di vostra maestà,” disse una delle guardie, “ma non era sveglio e ci vuole tempo a costruire un patibolo da esecuzione adatto a un traditore come questo.”

“Cos’avete programmato?” chiese la regina.

“Volevamo impiccarlo a metà, eviscerarlo e poi legarlo alla ruota per finirlo. Non potevamo semplicemente ucciderlo rapidamente, dopo tutto quello che ha fatto.”

Tano vide la regina riflettere un momento, e poi annuire. “Forse avete ragione. Ha già confessato i suoi crimini?”

“No, vostra maestà. Afferma ancora di non essere stato lui.”

Tano vide la regina scuotere la testa. “Cose da pazzi. È stato trovato addosso al corpo di mio marito. Desidero parlare con lui, da sola.”

“Vostra maestà, è veramente…”

“Da sola, ho detto.” Lo sguardo della regina Atena fu sufficiente e anche Tano provò un momento di pietà per l’uomo. “È abbastanza sicuro dentro alla sua gabbia. Finite in fretta il vostro lavoro sul patibolo. Voglio che l’uomo che ha ucciso mio marito sia presto morto!”

Tano guardГІ le guardie farsi indietro, allontanandosi da dove si trovavano lui e la regina. Sicuramente a distanza tale da non poter sentire. Tano non aveva dubbio che lo avessero fatto di proposito.

“Non sono stato io a uccidere il re,” insistette Tano, anche se immaginava che non avrebbe fatto alcuna differenza per la sua situazione. Senza prove perché qualcuno avrebbe dovuto credergli, senza parlare della regina, cui non era mai piaciuto?

Per un momento l’espressione della regina Atena rimase impassibile. Tano la vide guardarsi attorno, quasi furtiva, come se fosse preoccupata che qualcuno potesse sentirla. In quel momento Tano capì.

“Lo sai già, vero?” disse Tano. “Sai che non sono stato io.”

“Come potrei sapere una cosa del genere?” chiese la regina Atena, ma c’era nervosismo nella sua voce mentre lo diceva. “Sei stato beccato con il sangue del mio amato marito sulle mani, vicino al suo corpo.”

“Amato,” ripeté Tano. “Hai sposato il re solo per un’alleanza politica.”

Tano vide la regina portarsi le mani al cuore. “E non potevamo forse innamorarci l’uno dell’altra?”

Tano scosse la testa. “Non hai mai amato mio padre. Amavi solo il potere che ti veniva dall’essere la moglie del re.”

“Tuo padre?” disse la regina. “Pare che tu abbia scoperto molto più di quanto avresti dovuto, Tano. Claudio ha passato un sacco di problemi per nasconderlo. Probabilmente è proprio la cosa migliore che tu muoia per questo.”

“Per qualcosa che ha fatto Lucio,” rispose di scatto Tano.

“Sì, per qualcosa che ha fatto Lucio,” rispose la regina Atena, la rabbia dipinta in volto. “Pensi di potermi dire di mio figlio cose che potrebbero scioccarmi? Anche questo? È mio figlio!”

Tano poteva sentire l’atteggiamento protettivo, duro come il ferro e indistruttibile. In quel momento si trovò a pensare al bambino che non avrebbe mai avuto con Stefania, e a quanto protettivo sarebbe stato lui stesso nei confronti di suo figlio o figlia. Voleva pensare che sarebbe arrivato a qualsiasi compromesso per suo figlio, ma guardando la regina Atena sapeva che non era vero. C’erano dei limiti oltre i quali neanche un genitore poteva andare.

“E tutti gli altri?” ribatté Tano. “Cosa faranno quando lo verranno a sapere?”

“E come verranno a saperlo?” chiese la regina Atena. “Glielo griderai adesso? Vai avanti. Fa che tutti sentano il traditore nella gabbia affermare che anche se è stato trovato davanti al padre assassinato, dice che è stato suo fratello a compiere il gesto. Pensi che qualcuno ti crederà?”

Tano sapeva già la risposta. Il fatto stesso di dove si trovava gli diceva la verità. Agli occhi di chiunque avesse potere nell’Impero, lui era già un traditore, e si era intrufolato nel castello. No, se avesse tentato di dire la verità, non gli avrebbero mai creduto.

Sapeva che a meno che non fosse fuggito, sarebbe morto lì. Sarebbe morto, e Lucio sarebbe diventato re. Quello che sarebbe successo dopo sarebbe stato qualcosa di appartenente ai peggiori incubi. Doveva trovare un modo per impedirlo.

Di certo anche la regina Atena poteva vedere la brutta piega che le cose avrebbero preso. Doveva solo farla ragionare.

“Cosa pensi accadrà quando Lucio sarà re?” le chiese. “Cosa pensi farà?”

Vide Atena sorridere. “Penso farà quello che gli suggerisce sua madre. Lucio non ha mai avuto tempo per i… meri dettagli del suo ruolo. In effetti dovrei probabilmente ringraziarti, Tano. Claudio era troppo cocciuto. Non mi ha ascoltato quando avrebbe dovuto farlo. Lucio sarà più malleabile.”

“Se lo credi,” disse Tano, “sei malata come lui. Hai visto cos’ha fatto Lucio a suo padre. Pensi che essere sua madre ti terrà al sicuro?”

“Il potere è l’unica sicurezza che c’è,” rispose la regina Atena. “E tu non ci sarai per vederlo, qualsiasi cosa accada. Quando il patibolo sarà pronto, morirai, Tano. Addio.”

Si voltГІ per andarsene, e in quel momento Tano non potГ© pensare che a Lucio. Lucio che veniva incoronato. Lucio come era stato nel villaggio che Tano aveva salvato. Lucio come doveva essere stato quando aveva ucciso loro padre.

Mi libererГІ, promise Tano a se stesso. ScapperГІ, e ucciderГІ Lucio.




CAPITOLO DUE


Ceres uscì dall’Arena sulle spalle della folla, alla luce del sole, e il suo cuore era traboccante di gioia. Guardò i risultati della battaglia e un’ondata di emozioni lottò per avere la meglio dentro di lei.

Ovviamente c’era la gioia della vittoria. Sentiva la folla gridare la sua vittoria mentre tutti uscivano dall’arena, i ribelli di Haylon insieme ai combattenti, il resto degli uomini di Lord West e la gente dalla città.

C’era sollievo per il fatto che il suo disperato tentativo di salvare i combattenti dalle ultime Uccisioni organizzate da Lucio aveva avuto successo, e che finalmente era finita.

C’era anche un sollievo più grande. Ceres scrutò la folla fino a che poté vedere suo fratello e suo padre, in piedi sottobraccio in mezzo al gruppo di ribelli. Avrebbe voluto correre da loro e assicurarsi che stessero bene, eppure la folla era determinata a portarla in sfilata attorno alla città. Doveva accontentarsi del fatto che apparissero incolumi e che camminassero insieme gioendo con gli altri. Era sorprendente che potessero ancora gioire. Talmente tanta di quella gente aveva desiderato di morire per porre fine alla schiacciante tirannia dell’Impero. Così tanti erano davvero morti.

Questo le portò l’ultima emozione: tristezza. Tristezza perché tutto questo era stato necessario, e perché così tanti erano morti su entrambi i fronti. Poteva vedere i corpi nelle strade dove c’erano stati scontri tra ribelli e soldati. La maggior parte dei cadaveri portava i colori rossi dell’Impero, ma non è che questo rendesse migliori le cose. Molti erano semplici persone comuni, arruolate contro la loro volontà, o uomini che si erano uniti all’esercito perché era pur sempre meglio di una vita di povertà e soggiogazione. E ora giacevano morti, fissando il cielo con occhi che non avrebbero mai più visto nulla.

Ceres poteva sentire il tepore del sangue sulla sua pelle, già secco al calore del sole. Quanti uomini aveva ucciso quel giorno? Da qualche parte in quell’infinita battaglia ne aveva perso il conto. C’era stata solo l’urgenza di andare avanti, di continuare a combattere, perché fermarsi significava morire. Si era trovata trascinata dallo scorrevole flusso della battaglia, trasportata da quell’energia, con la sua personale energia che le pulsava dentro.

“Tutti,” disse Ceres.

Li aveva uccisi tutti, anche se non l’aveva fatto con le sue mani. Era stata lei a convincere la gente sugli spalti a non accettare l’idea di pace dell’Impero. Era stata lei a convincere gli uomini di Lord West ad attaccare la città. Si guardò attorno osservando i morti, determinata a ricordare loro e ciò che quella vittoria era costata.

Anche la cittГ  mostrava cicatrici di violenza: porte rotte, i resti delle barricate. Ma si stavano diffondendo anche segni di gioia: la gente stava uscendo nelle strade, unendosi alla folla che stava giГ  fluendo nelle vie formando un grosso mare di umanitГ .

Era difficile udire qualcosa in mezzo al frastuono della folla, ma di colpo Ceres ebbe l’impressione di sentire i rumori di un combattimento che continuava. Parte di lei avrebbe voluto scattare in avanti e occuparsene da sé, ma più di tutto desiderava interromperlo prima che non potesse essere più controllato. La verità era che in quel momento era veramente esausta. Le pareva di aver lottato per un’eternità. Se la folla non l’avesse portata in spalla, Ceres sospettava che sarebbe collassata a terra.

Quando finalmente la misero a terra nella piazza principale, Ceres andГІ a cercare suo padre e suo fratello. Si fece strada verso di loro e parve raggiungerli solo perchГ© la gente si fece da parte in segno di rispetto.

Ceres li abbracciГІ entrambi.

Non dissero nulla. Il loro silenzio, la sensazione del loro abbraccio dicevano già tutto. Erano sopravvissuti in qualche modo, come una famiglia. E l’assenza dei fratelli morti si sentiva pesantemente.

Ceres avrebbe voluto restare a quel modo per sempre. Stare al sicuro con suo fratello e suo padre, e lasciare che quella rivoluzione andasse avanti per conto suo. Eppure anche mentre se ne stava lì con due delle persone cui voleva più bene al mondo, si rese conto di una cosa.

La gente la stava fissando.

Ceres immaginò non fosse strano dopo tutto quello che era successo. C’era stata lei nel cuore del combattimento, e proprio adesso, in mezzo al sangue, alla terra e alla stanchezza, probabilmente sembrava un mostro venuto fuori da una qualche leggenda. Eppure non era quella l’espressione che la gente sembrava avere.

No, la stavano guardando come se aspettassero che lei dicesse loro cosa fare a questo punto.

Ceres vide delle figure farsi strada in mezzo alla folla. Riconobbe tra loro Akila, l’uomo robusto e muscoloso che era stato a capo dell’ultima ondata di ribelli. Altri indossavano i colori degli uomini di Lord West. C’era anche un combattente in mezzo a loro, un uomo grande e grosso con un paio di piccozze da combattimento, che sembrava ignorare le numerose ferite che lo ricoprivano.

“Ceres,” disse Akila,” i soldati imperiali rimasti si sono ritirati al castello o hanno iniziato a cercare un modo per lasciare la città. I miei uomini hanno seguito quelli che hanno potuto, ma non conoscono abbastanza bene questa città e… beh, c’è il pericolo che la gente possa prenderla nel verso sbagliato.”

Ceres capì. Se gli uomini di Akila andavano a caccia di soldati in fuga tra le strade di Delo, c’era il pericolo che venissero scambiati per invasori. Anche se non lo erano, potevano subire delle imboscate, essere divisi e catturati.

Eppure le sembrava strano che così tante persone guardassero a lei per avere delle risposte. Si guardò attorno in cerca di aiuto, perché c’era sempre stato qualcuno più qualificato di lei per prendere il comando. Ceres non voleva dare per scontato di poter assumere il comando solo perché la sua linea di sangue la faceva risalire agli Antichi di Delo.

“Chi c’è al comando della ribellione ora?” chiese Ceres. “Sono sopravvissuti alcuni dei capi?”

Attorno a sé vide la gente che allargava le braccia e scuoteva la testa. Non lo sapevano. Ovvio che no. Certo non avevano visto più di quanto non avesse visto Ceres. Ceres conosceva la parte che contava: Anka non c’era più, uccisa dai boia di Lucio. Probabilmente anche la maggior parte degli altri capi erano morti. Oppure si stavano nascondendo.

“E Nyel, il cugino di Lord West?” chiese Ceres.

“Lord Nyel non ci ha accompagnati nell’assalto,” disse uno degli ex-uomini di Lord West.

“No,” disse Ceres, “immagino che non l’abbia fatto.”

Forse era una buona cosa che non fosse lì. I ribelli e la gente di Delo sarebbero stati piuttosto sospettosi nei confronti di un nobiluomo come Lord West, dato ciò che rappresentava, e lui era pure stato un uomo coraggioso e rispettabile. Suo cugino non valeva la metà.

Non chiese se i combattenti avessero un capo. Non erano uomini per quel genere di cose. Ceres li aveva conosciuti tutti nelle fosse per l’allenamento per l’arena e sapeva che sebbene ciascuno di loro valesse come una decina o più di uomini normali, non sarebbero mai stati in grado di condurre una cosa del genere.

Si trovò a guardare Akila. Era ovvio che lui era un capo, e i suoi uomini chiaramente seguivano il suo esempio, eppure sembrava cercare lei per dare degli ordini lì.

Ceres sentì la mano di suo padre sulla spalla.

“Ti stai chiedendo perché dovrebbero ascoltarti,” ipotizzò, ed andò praticamente a segno.

“Non sono tenuti a seguirmi solo perché guarda caso ho del sangue degli Antichi,” rispose Ceres sottovoce. “Chi sono io veramente? Come posso sperare di guidarli?”

Vide suo padre sorridere.

“Non vogliono seguirti solo per i tuoi antenati. Allora seguirebbero Lucio se fosse quello il caso.”

Suo padre sputГІ a terra come ad enfatizzare il suo pensiero al riguardo.

Sartes annuì.

“Papà ha ragione, Ceres,” disse. “Ti seguono per tutto quello che hai fatto. Per chi sei tu.”

Ceres ci pensГІ su.

“Puoi metterli insieme,” aggiunse suo padre. “E devi farlo adesso.”

Ceres sapeva che avevano ragione, ma era ancora difficile stare in mezzo a così tanta gente e sapere che loro stavano aspettando che lei prendesse una decisione. Cosa sarebbe successo se non l’avesse fatto però? Cosa sarebbe successo se avesse costretto uno degli altri a fare da capo?

Ceres poteva immaginare la risposta. Poteva sentire l’energia della folla, tenuta a bada per il momento, ma comunque presente, come braci ardenti pronte a scatenare un furioso incendio. Senza direzione avrebbe significato razziare la città, ancora morte, ancora distruzione, e forse addirittura la sconfitta mentre le fazioni si trovavano in disaccordo.

No, non poteva permetterlo, anche se non era ancora certa sul da farsi.

“Fratelli e sorelle!” gridò, e con sua sorpresa la folla attorno a lei fece silenzio.

Ora l’attenzione su di lei appariva totale, anche se confrontata con ciò che era stata prima.

“Abbiamo ottenuto una grandiosa vittoria, tutti noi! Tutti voi! Avete affrontato l’Impero e avete afferrato la vittoria dalle fauci della morte!”

La folla esultГІ e Ceres si guardГІ attorno, permettendo a quel momento di fare presa su di loro.

“Ma non è sufficiente,” continuò. “Sì, andremmo tutti a casa adesso, e avremmo comunque ottenuto molto. Potremmo addirittura essere al sicuro per un po’. Alla fine però l’Impero e i suoi governatori verrebbero a cercarci, o a cercare i nostri figli. Tutto tornerebbe come era, o magari anche peggio. Dobbiamo farla finita una volta per tutte!”

“E come lo facciamo?” gridò una voce dalla folla.

“Prendiamo il castello,” rispose Ceres. “Prendiamo Delo. E la facciamo nostra. Catturiamo la gente di corte e mettiamo fine alla loro crudeltà. Akila, siete venuti qui per mare?”

“Sì,” rispose il capo dei ribelli.

“Allora vai al porto con i tuoi uomini e accertati che ne abbiamo il controllo. Non voglio che ci siano persone dell’Impero che fuggono a recuperare un esercito da scagliarci contro, o una flotta per sorprenderci.”

Vide Akila annuire.

“Lo faremo,” la rassicurò.

La seconda parte del discorso era piГ№ dura.

“Tutti gli altri vengano con me al castello.”

IndicГІ il punto in cui la fortezza si ergeva sulla cittГ .

“Per troppo tempo è stato lì come simbolo del potere che hanno su di noi. Oggi lo prenderemo.”

Si guardГІ attorno osservando la folla, cercando di calibrare la loro reazione.

“Se non avete un’arma, procuratevene una. Se siete troppo feriti, o se non volete farlo, non c’è nessuna vergogna nel rimanere, ma se venite potrete dire che c’eravate il giorno in cui Delo ha avuto la sua libertà!”

Fece una pausa.

“Gente di Delo!” gridò, la voce tonante. “Siete con me!?”

Il ruggito di risposta della folla fu assordante.




CAPITOLO TRE


Stefania si teneva stretta al parapetto della barca, le nocche bianche come la schiuma dell’oceano. Il viaggio in mare non le stava piacendo. Solo il pensiero della vendetta a cui avrebbe potuto portare le rendeva il tutto sopportabile.

Lei era una delle nobili dell’Impero. Quando prima di allora aveva intrapreso lunghi viaggi, era stato nelle stanze reali di grandiose galee, o in carrozze imbottite di cuscini nel mezzo di convogli ben sorvegliati, non certo condividendo con qualcun altro una barca che sembrava così minuscola in mezzo alla vastità dell’oceano.

Non era solo la comoditГ  a rendere il tutto difficile. Stefania era orgogliosa di sГ© per essere piГ№ dura di quanto la gente pensasse. Non aveva intenzione di lamentarsi solo perchГ© quella tinozza galleggiante che imbarcava acqua dondolava a ogni onda, o perchГ© era costretta a seguire una noiosa e infinita dieta a base di pesce e carne salata. Non si sarebbe neanche lamentata del puzzo. In circostanze normali, Stefania avrebbe mostrato il suo migliore sorriso e sarebbe andata avanti senza battere ciglio.

La gravidanza rendeva le cose più ardue. A Stefania sembrava di poter sentire il bambino crescere dentro di lei adesso. La sua perfetta arma contro di lui. Era qualcosa che non le era quasi sembrato reale quando l’aveva sentito la prima volta. Ora, con la gravidanza che esasperava ogni accenno di nausea e rendeva il sapore del cibo addirittura peggiore di quello che era, tutto le appariva fin troppo reale.

Stefania guardò Felene che lavorava verso la prua della barca insieme alla sua damigella Elethe. Le due apparivano in tale contrasto tra loro. La marinaia, ladra e qualsiasi altra cosa fosse con i suoi pantaloni grezzi, la camicia e i capelli legati dietro che le scendevano lungo la schiena. La damigella con il suo abito di seta coperto da un mantello, i capelli più corti che incorniciavano i tratti leggermente scuri con un eleganza che altre donne non potevano neanche sperare. Felene sembrava godersela, intonando un canto marinaresco di tale fantasiosa volgarità che Stefania fu sicura che l’altra donna lo stesse facendo deliberatamente per stuzzicarla. Oppure quella era l’idea che Felene aveva di corteggiamento. Aveva visto alcune delle occhiate che la ladra aveva lanciato alla sua damigella.

E a lei, ma almeno erano sempre meglio che occhiate sospettose. Quelle erano state piuttosto rare all’inizio, ma ora si stavano facendo frequenti e Stefania poteva immaginare perché. Il messaggio che aveva inviato per adescare Tano diceva che lei aveva preso la pozione di Lucio. In quel momento le era sembrato il modo migliore per ferirlo, ma ora significava che doveva nascondere i segni della gravidanza che adesso parevano determinati a farsi vedere. Anche se non ci fosse stata la costante nausea da prendere in considerazione, Stefania era certa di potersi sentire gonfiare come una balena e il suo vestito era sempre più stretto.

Non avrebbe potuto nasconderla per sempre, il che significava che avrebbe dovuto probabilmente uccidere la marinaia di Tano prima o poi. Forse poteva farlo adesso, semplicemente avvicinandosi all’altra donna per spingerla oltre il parapetto della barca. Oppure poteva offrirle una borraccia piena d’acqua. Anche considerata la fretta con cui era partita, Stefania aveva con sé veleni a sufficienza da poter gestire una legione di potenziali nemici.

Poteva persino farlo fare alla sua damigella. Elethe era brava con i coltelli dopotutto, anche se, dato che era stata prigioniera della marinaia quando Stefania l’aveva trovata al molo, probabilmente non era poi così in gamba.

Quell’incertezza bastò a far fermare Stefania. Quello non era il genere di cose che lei poteva permettersi di sbagliare. Ci sarebbe stata solo una possibilità di fare le cose nel modo giusto. Al di fuori di altre risorse, un fallimento non sarebbe coinciso con una quieta ritirata. Sarebbe potuto significare morte certa.

Ad ogni modo erano ancora troppo distanti dalla terraferma. Stefania non era in grado di governare la barca, e anche se la sua damigella sarebbe stata probabilmente un’utile guida fino alle terre di Cadipolvere, c’era la possibilità che non fosse però in grado di condurle dall’altra parte dell’oceano. Avevano bisogno delle abilità di una persona di mare, sia per trovare con sicurezza la terraferma e soprattutto per arrivare al giusto pezzo di terra. C’erano cose che Stefania aveva bisogno di trovare, e non poteva farlo se non riusciva neanche ad arrivare alla terra che era da generazioni alleata dell’Impero.

Stefania si avvicinò alle altre e per un momento considerò di spingere Felene ad ogni modo, semplicemente perché le pareva sorprendentemente leale a Tano. Non era una caratteristica che Stefania si sarebbe aspettata in una ladra rea confessa, e significava che probabilmente la corruzione non era un’opzione contemplabile. Il che le lasciava solo dei mezzi violenti a disposizione.

Quindi, voltandosi verso di lei, Stefania finse un sorriso.

“Quanto manca ancora?” chiese.

Felene alzò le mani come un mercante che soppesa la merce. “Un giorno o due forse. Dipende dal vento. Stai già soffrendo la mia compagnia, principessa?”

“Beh,” disse Stefania,” sei sboccata, sdegnosa, arbitraria e quasi felice del fatto che sei una criminale.”

“E questo è solo l’inizio dei punti a mio favore,” disse Felene ridendo. “Eppure vi porterò con facilità a Cadipolvere. Hai pensato a cosa farai poi? Hai amici a corte, magari, che ti aiutino a trovare questo tuo stregone? Sai dove trovarlo?”

“Dove il sole al tramonto incontra i teschi del morto di pietra,” disse Stefania, ricordando le indicazioni che la Vecchia Hara la strega le aveva dato. Stefania aveva pagato per quelle indicazioni con la vita di una delle sue altre damigelle. Erano molto diverse.

“È sempre così,” disse Felene sospirando. “Fidati di me, ho rubato cose piuttosto degne di nota nella mia vita, e non sono mai riuscita ad ottenere direzioni precise. Mai il nome di una via o qualcuno che mi dicesse di prendere la terza porta a sinistra. Stregoni, streghe: sono i peggiori. Mi sorprende che una nobildonna come te voglia invischiarsi in cose del genere.”

Questo perchГ© la marinaia non sapeva nulla di Stefania. Non che aveva trascorso la sua vita ad imparare, in modo da essere ben piГ№ di un semplice volto come tanti nello sfondo delle occasioni di corte. Certamente non i limiti che era disposta a superare quando si trattava di vendetta.

“Farò quello che servirà,” disse Stefania. “Il problema è se posso fidarmi di te.”

Felene mostrò il suo migliore sorriso. “Fintanto che mi chiedi soprattutto cose come bere, combattere e di tanto in tanto magari rubare.” La sua espressione si fece più seria. “Lo devo a Tano, e gli ho dato la mia parola che ti avrei tratta in salvo. E io mantengo la parola.”

Senza quella parte sarebbe stata perfetta per i piani di Stefania. Oh, se almeno fosse stata così adatta alla corruzione come il resto di quelli come lei. O magari anche alla seduzione. Stefania le avrebbe concesso Elethe facilmente come aveva dato l’altra damigella alla vecchia strega Hara.

“E quando arriviamo a Cadipolvere?” chiese Felene. “Come la mettiamo per trovare questo posto dove il sole al tramonto incontra il morto di pietra?”

“I teschi del morto di pietra sono una cosa di cui ho sentito parlare,” si intromise Elethe. “Si trovano tra le montagne.

Stefania avrebbe preferito discutere privatamente quella questione, ma la verità era che non c’era privacy sulla piccola barca. Dovevano parlane, e questo significava farlo davanti a Felene.

“Questo significa che dovremo andare fino alle montagne,” disse Stefania. “Sarai in grado di organizzare la cosa?”

Elethe annuì. “Un amico della mia famiglia conduce delle carovane che passano in mezzo alle montagne. Dovrebbe essere facile da organizzare.”

“Senza attirare troppe attenzioni?” chiese Stefania.

“Un gestore di carovane che attira troppe attenzioni è uno che si fa derubare,” assicurò Elethe. “E poi troveremo più informazioni quando arriveremo alla città. Cadipolvere è casa mia, mia signora.”

“Sono certa che sarai di grande aiuto,” disse Stefania in un modo che sembrava un’espressione di gratitudine. Un tempo questo avrebbe fatto saltare di gioia la sua damigella, ma ora non fece che sorridere. Probabilmente aveva a che fare con le attenzioni che stava ricevendo da parte di Felene.

Un sottile filo di rabbia allora crebbe in Stefania. Non gelosia nel senso convenzionale del termine, perché lei non provava quei sentimenti per la ragazza. Per nessuno, ora che Tano se n’era andato dalla sua vita. No, questo era semplicemente perché la sua damigella era sua. Una volta la ragazza si sarebbe gettata alla rovina al comando di Stefania. Ora Stefania non poteva esserne così certa, e questo le bruciava. Avrebbe dovuto trovate un modo per metterla alla prova prima che tutto prendesse il via.

Avrebbe dovuto fare un sacco di cose prima di finire tutto a Cadipolvere. Avrebbe dovuto trovare questo stregone, e anche se la sua damigella conosceva un modo per arrivare al posto giusto, ci sarebbero comunque voluti tempo e fatica. Avrebbe dovuto farlo in un terra straniera, dove la politica e la gente sarebbero stati diversi, anche se le loro debolezze erano generalmente le stesse in tutto il mondo.

Anche una volta trovato lo stregone, avrebbe dovuto cercare un modo per apprendere ciò che lui sapeva o per ottenere il suo aiuto. Forse ci sarebbero voluti solo soldi, o un po’ di fascino, ma Stefania ne dubitava. Qualsiasi stregone abbastanza potente da fermare uno degli Antichi sarebbe stato in grado di prendere ciò che voleva dal mondo.

No, Stefania avrebbe dovuto essere piГ№ creativa, ma avrebbe trovato un modo per farlo funzionare. Tutti volevano qualcosa, che fosse il potere, la fama, la conoscenza o semplicemente la salvezza. Stefania aveva sempre avuto il dono di scoprire ciГІ che la gente voleva: molto spesso era la leva che li portava a fare ciГІ che Stefania aveva bisogno da loro.

“Dimmi, Elethe,” disse di slancio. “Cos’è che vuoi?”

“Servire voi, mia signora,” disse immediatamente la ragazza. Era la risposta giusta ovviamente, ma in essa c’era una nota di sincerità che a Stefania piaceva particolarmente. Avrebbe scoperto la vera risposta a tempo debito.

“E tu, Felene?” le chiese.

Vide la ladra scrollare le spalle. “Qualsiasi cosa il mondo abbia da offrire. Probabilmente con un sacco di tesori, bevute, amici e divertimento. Non necessariamente in questo ordine.”

Stefania rise sommessamente, fingendo di non aver colto il tono bugiardo. “Certo. Cos’altro si potrebbe desiderare.”

“Perché non lo dici tu?” ribatté Felene. “Cos’è che vorresti, principessa? Perché attraversare tutto questo?”

“Voglio essere al sicuro,” disse Stefania. “E voglio vendetta contro coloro che mi hanno portato via Tano.”

“Vendetta sull’Impero?” chiese Felene. “Immagino di poter stare dalla tua parte. Mi hanno gettata su quelle loro isola dopotutto.”

Se voleva credere che la vendetta contro l’Impero era ciò che Stefania voleva, allora che lo credesse pure. Gli oggetti della rabbia di Stefania erano più semplicemente definibili: Ceres, poi Tano e tutti coloro che li avevano aiutati.

Silenziosamente Stefania ripeté il giuramento che aveva pronunciato a Delo. Avrebbe cresciuto suo figlio facendolo diventare l’arma perfetta contro suo padre. Lo avrebbe cresciuto con amore: di certo non era un mostro. Ma avrebbe avuto anche uno scopo. Avrebbe saputo ciò che suo padre aveva fatto.

E cose come quelle non si potevano perdonare.




CAPITOLO QUATTRO


Lucio aveva trascorso la maggior parte del viaggio verso Cadipolvere con l’impulso di voler pugnalare qualcuno. Ora che vi si stava avvicinando, il sentimento si faceva solo più intenso. Se ne stava lì con gli abiti luridi, il sole che gli cuoceva la pelle, fuggendo da un impero che avrebbe dovuto accorrere per obbedirgli.

“Guarda dove vai, ragazzo,” disse uno dei marinai passandogli vicino per andare a fissare una fune. Lucio non si era curato di ricordare il nome dell’uomo, ma in quel momento desiderò di averlo fatto, se in quel modo avesse potuto lamentarsi con il capitano di quella bagnarola riguardo alla sua ciurma.

“Ragazzo? Sai chi sono e osi chiamarmi ragazzo?” chiese Lucio. “Dovrei andare dal capitano Arvan e farti frustare.”

“Fallo,” disse il marinaio con il tono annoiato di qualcuno che sapeva di essere del tutto al sicuro, “e vedrai come va a finire.”

Lucio agitò i pugni. La parte peggiore era la sensazione di futilità. Il capitano Arvan si trovava al comando sul ponte con il timone della sua barca in mano e la stazza di quell’uomo ondeggiava a ogni onda che colpiva l’imbarcazione. Aveva fatto perfettamente capire a Lucio che lui aveva importanza solo fintanto che il suo denaro fosse stato sufficiente.

Come sempre da quando era partito, la rabbia portГІ con sГ© immagini di sangue e pietra. Il sangue di suo padre che macchiava la pietra della statua del suo antenato.

Quello con cui mi hai ucciso.

Lucio lo fissò, anche se la voce era stata lì, chiara come il cielo di mattina, profonda come la colpa fin da quando aveva dato il primo colpo. Lucio non credeva nei fantasmi, ma il ricordo della voce di suo padre era ancora lì e gli rispondeva ogni volta che cercava di pensare. Sì, era solo la sua mente che gli giocava degli scherzi, ma la cosa non era per niente migliorata. Significava che addirittura i suoi stessi pensieri non facevano come lui desiderava.

Niente pareva farlo al momento. Il capitano della barca su cui aveva trovato un passaggio lo aveva accolto borbottando, come se non fosse un onore avere Lucio a bordo con sé per quel viaggio. I suoi uomini trattavano Lucio con disprezzo, come un comune criminale che fuggiva dalla giustizia, piuttosto che come un corretto governatore dell’Impero, usurpato del suo trono.

Del trono di Tano.

“Non il trono di Tano,” disse Lucio parlando con l’aria. “Il mio.”

“Hai detto qualcosa…?” chiese il marinaio senza neanche curarsi di girarsi.

Lucio si allontanò e diede un pugno pieno di risentimento al legno dell’albero maestro, ma questo non fece che procurargli un forte dolore alle nocche che rimasero spellate. Se avesse potuto fare come era solito, avrebbe fatto scuoiare vivi anche uno o due uomini della ciurma.

Eppure Lucio teneva le distanze da loro, mantenendosi nella parte vuota del ponte dove gli era stato detto che poteva andare, come se fosse un uomo comune a cui dover dire dove andare. Come se non potesse lui stesso reclamare la proprietà di ogni singolo vascello dell’Impero se avesse voluto.

Ma il capitano della barca aveva fatto proprio così. Aveva lasciato Lucio con chiare istruzioni di stare lontano dalla ciurma mentre lavoravano, e di non causare guai.

“Altrimenti ti troverai dall’altra parte del parapetto e ci dovrai andare a nuoto a Cadipolvere,” aveva detto l’uomo.

Forse avresti dovuto ucciderlo come hai fatto con me.

“Non sono matto,” disse Lucio a se stesso. “Non sono matto.”

Non lo avrebbe permesso, come non avrebbe permesso agli uomini di continuare a parlargli come se non contasse nulla. Poteva ancora ricordare il freddo stato di rabbia in cui si era trovato quando aveva colpito suo padre, sentendo il peso della statua in mano, scagliandola perché era l’unico modo di mantenere il possesso di ciò che era suo.

“Sei stato tu a farmelo fare,” mormorò Lucio. “Non mi hai lasciato scelta.”

Proprio come sono certo che nessuna delle tue vittime ti abbia lasciato scelta, rispose la sua voce interna. Quanti ne hai uccisi fino ad ora?

“Cosa importa?” chiese Lucio. Andò a grandi passi fino al parapetto e gridò contro le onde ruggenti. “Non importa!”

“Stai zitto, moccioso, stiamo cercando di lavorare qui!” gridò il capitano della nave da dove si trovava il timone.

Non riesci a fare la cosa giusta neanche in mezzo all’oceano, disse la voce dentro di sé.

“Taci,” disse Lucio seccamente. “Taci!”

“Come osi parlarmi così, ragazzo?” chiese il capitano, scendendo sul ponte per confrontarsi con lui. L’uomo era più robusto di Lucio, e in condizioni normali la paura sarebbe scorsa in lui. Ma adesso non c’era spazio, perché i ricordi la spingevano fuori! Ricordi di violenze. Ricordi di sangue. “Io sono il capitano di questo vascello!”

“E io sono un re!” ribatté Lucio tirando un pugno inteso a colpire la mascella dell’altro uomo per spingerlo indietro. Non aveva mai creduto nel combattimento corretto.

Il capitano invece si fece indietro e schivГІ il colpo con facilitГ . Lucio scivolГІ sul ponte umido e in quel momento un altro uomo gli diede un ceffone.

Gli diede un ceffone! Come se fosse una qualsiasi sgualdrina che aveva parlato a sproposito, non un guerriero con cui valesse la pena parlare. Non un principe!

Ma il colpo bastГІ comunque per farlo crollare a terra e Lucio emise un piccolo grido di rabbia.

Meglio che tu stia giГ№, ragazzo, gli sussurrГІ la voce di suo padre.

“Taci!”

Portò la mano sotto alla camicia, alla ricerca del coltello che teneva nascosto lì. Fu in quel momento che il capitano Arvan gli diede un calcio.

Il primo colpo lo prese allo stomaco, abbastanza forte da farlo rotolare dalle ginocchia alla schiena. Il secondo colpì la testa, e bastò a fargli vedere le stelle. Non fece nulla per mettere a tacere la voce di suo padre.

Chiamati guerriero. So che sai fare di meglio.

Facile a dirsi quando non era lui ad essere picchiato a morte sul ponte di una nave.

“Pensi di potermi accoltellare, ragazzo?” chiese il capitano Arvan. “Venderei la tua carcassa se pensassi che qualcuno pagherebbe per averla. Ma dati i fatti, ti getteremo in mare e vedremo se anche gli squali arricceranno il naso!” Ci fu una pausa, inframmezzata da un altro calcio. “Voi due, prendetelo. Stiamo a vedere come galleggia bene la gente di corte.”

“Io sono un re!” si lamentò Lucio mentre delle forti mani iniziavano a tirarlo su. “Un re!”

E presto sarai un ex-re, continuГІ la voce di suo padre.

Lucio si sentì privo di peso mentre gli uomini lo sollevavano abbastanza in alto da fargli vedere l’acqua infinita attorno a loro, nella quale presto sarebbe stato gettato per annegare. Eccetto il fatto che non era infinita, giusto? Poteva vedere…

“Terra a dritta!” gridò la vedetta.

Per un momento la tensione tenne, e Lucio fu certo che l’avrebbero comunque gettato in mare.

La voce del capitano Arvan tuonГІ sopra a tutto il fragore.

“Lasciate andare quel regale spreco di fiato. Abbiamo tutti dei compiti da eseguire, e molto presto ci sbarazzeremo di lui.”

I marinai non discussero. Gettarono invece Lucio sul ponte, lasciandolo per andare a sistemare le funi con il resto dell’equipaggio.

Dovresti essere riconoscente, sussurrГІ la voce di suo padre.

Lucio era tutt’altro che riconoscente però. Invece aggiunse mentalmente quella nave e la sua ciurma alla lista di coloro che l’avrebbero pagata non appena lui avesse riavuto indietro il suo trono. Li avrebbe visti bruciare.

Li avrebbe visti bruciare tutti.




CAPITOLO CINQUE


Tano stava seduto nella sua gabbia e aspettava la morte. Ruotava e si girava sotto al sole di Delo, cucinandosi lentamente mentre dall’altra parte del cortile le guardie lavoravano per costruire le forche sulle quali sarebbe morto. Tano non si era mai sentito così inerme.

Né così assetato. Lo avevano ignorato e non gli avevano dato niente da mangiare né da bere, dirigendo verso di lui la loro attenzione solo quando volevano far vibrare le spade contro le sbarre della gogna, importunandolo.

I servitori si affrettavano avanti e indietro nel cortile, con un senso di urgenza nelle loro faccende che suggeriva che nel castello stesse accadendo qualcosa. Tano non sapeva di cosa si trattasse. O forse era solo il modo in cui le cose accadevano come conseguenza della morte del re. Forse tutta quella frenesia era semplicemente dovuta alla regina Atena che faceva andare Delo nel modo che meglio gradiva.

Tano poteva immaginarsi la regina farlo. Mentre qualcun altro sarebbe rimasto chiuso nel suo dolore, quasi incapace di agire, Tano poteva immaginare la donna che vedeva la morte di suo marito come un’opportunità.

Le mani di Tano si strinsero attorno alle sbarre della gogna. C’era una buona probabilità che lui fosse l’unico a piangere la morte di suo padre in quel preciso istante. I servitori e la gente di Delo avevano tutti i motivi per odiare il loro re. Atena era probabilmente troppo presa dai suoi progetti per curarsene. Per quanto riguardava Lucio…

“Ti troverò,” promise Tano. “Ci sarà giustizia per questo. Per tutto…”

“Oh, ci sarà giustizia, proprio vero,” disse una delle guardie. “Proprio quando ti sgozzeremo per quello che hai fatto.”

Tirò un colpo contro le sbarre, prendendo le dita di Tano così forte da farlo sibilare per il dolore. Tano fece per acciuffarlo, ma la guardia rise saltellando fuori portata e andando ad aiutare gli altri con la costruzione del palco sul quale Tano sarebbe stato ucciso alla fine.

Era un palcoscenico. Tutta quella faccenda era uno spettacolo. In un istante di violenza Atena avrebbe preso il controllo dell’Impero, sia rimuovendo il più grosso pericolo dal suo potere che mostrando che lei restava in carica, al posto di suo figlio, salendo alla corona.

Magari credeva davvero che fosse così. Se era così, Tano le augurava fortuna. Atena era malvagia e avida, ma suo figlio era un folle senza limiti. Aveva già ucciso suo padre e se sua madre pensava di poterlo controllare, allora avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto che poteva trovare.

E come lei, tutti coloro che stavano a Delo, dall’ultimo dei contadini fino a Stefania, intrappolata e alla mercé della gente di corte che di misericordia proprio non ne aveva.

Il pensiero di sua moglie fece sussultare Tano. Era venuto lì per salvarla, e invece era arrivato a questo. Se non fosse stato lì, forse le cose sarebbero andate meglio. Forse le guardie si sarebbero rese conto che era stato Lucio a uccidere il re. Forse avrebbero agito, piuttosto che cercare di spazzare via tutto.

“O forse avrebbero dato la colpa alla ribellione,” disse Tano, “dando a Lucio un’altra scusante.”

Poteva immaginarlo. Non contava quanto male tutto andasse: Lucio avrebbe sempre trovato il modo di far ricadere la colpa sugli altri. E se alla fine non fosse stato lì, non avrebbe potuto sentire suo padre che riconosceva la sua identità. Non avrebbe saputo che c’erano prove di essa a Cadipolvere.

Non avrebbe avuto la possibilitГ  di dire addio, o tenere tra le braccia suo padre mentre moriva. Ora i suoi rimorsi erano tutti legati al fatto che non sarebbe riuscito a vedere Stefania prima che lo giustiziassero, nГ© avrebbe potuto sapere se era al sicuro. Anche considerato tutto quello che aveva fatto, non avrebbe dovuto abbandonarla al molo. Era stata una mossa egoista, indotta solo dalla sua rabbia e disgusto personali. Era stata una mossa che gli era costata sua moglie, e la vita del loro bambino.

Era stata una mossa che probabilmente sarebbe costata a Tano la sua stessa vita, dato che si trovava lì solo perché Stefania era in trappola. Se l’avesse portata con sé e l’avesse lasciata in salvo ad Haylon, niente di tutto ciò sarebbe successo.

Tano allora capì che c’era una cosa che doveva fare prima che lo uccidessero. Non poteva fuggire, non poteva sperare di evitare ciò che lo stava attendendo, ma poteva pur sempre provare a mettere le cose a posto.

AspettГІ che un altro dei servitori attraversasse il cortile e gli si avvicinasse. Al primo che vide fece segno ma quello continuГІ a camminare.

“Per favore,” chiamò il secondo, che si guardò attorno prima di scuotere la testa e continuare per la sua strada.

Il terzo, una giovane donna, si fermГІ.

“Non dovremmo parlare con te,” gli disse. “Ci hanno vietato di portarti cibo e acqua. La regina vuole che soffri per aver ucciso il re.”

“Non l’ho ucciso io,” disse Tano. Allungò una mano mentre lei iniziava a voltarsi. “Non mi aspetto che tu mi creda, e non ho intenzione di chiederti dell’acqua. Potresti portarmi carboncino e carta? La regina non può aver vietato anche questo.”

“Hai in mente di scrivere un messaggio alla ribellione?” chiese la servitrice.

Tano scosse la testa. “Niente del genere. Puoi leggere quello che scriverò se vuoi.”

“Io… ci proverò.” Sembrò voler dire di più, ma Tano vide una delle guardie guardare dalla loro parte e la donna si allontanò di corsa.

L’attesa era dura. Come poteva guardare le guardie che costruivano la forca cui sarebbe stato appeso fino quasi a morire, o la grande ruota su cui lo avrebbero poi distrutto? Era una piccola crudeltà sostenere che anche se la regina Atena fosse riuscita a fare presa su suo figlio, l’Impero sarebbe stato ben lungi dall’essere perfetto.

Stava ancora pensando a tutte le crudeltГ  che Lucio e sua madre potevano infliggere sulla terra quando la servitrice arrivГІ con qualcosa sotto al braccio. Era solo un pezzo di pergamena e un piccolissimo carboncino, ma glieli passГІ furtivamente come se fossero la chiave per la libertГ .

Tano li prese con attenzione. Non aveva dubbio che le guardie glieli avrebbero portati via, anche solo per avere un’altra piccola opportunità di fargli più male. Anche se ce n’erano alcuni non completamente corrotti dalla crudeltà dell’Impero, credevano che lui fosse il peggiore dei traditori e che si meritasse tutto quello che gli era capitato.

Si chinò sul pezzo di pergamena, sussurrando le parole mentre tentava di scrivere, cercando di mettere le cose esattamente come dovevano essere. Scrisse in piccole lettere, sapendo che c’era un sacco nel suo cuore da dover trasformare in parole:



Alla mia cara moglie Stefania. Per quando leggerai questo, io sarò stato giustiziato. Forse sentirai che me lo merito, dopo il modo in cui ti ho abbandonata. Forse proverai un po’ del dolore che io provo sapendo che sei stata costretta a fare tante cose che non volevi.



Tano cercГІ di pensare alle parole per tutto quello che sentiva. Era difficile trascrivere tutto, o trovare il senso nella caotica confusione di sentimenti che gli vorticavano dentro:



Io… ti ho amata e sono venuto a Delo per tentare di salvarti. Mi spiace non esserci riuscito, anche se non sono certo che saremmo mai riusciti a stare insieme di nuovo. So… quanto felice eri di sapere del nostro bambino, e ne ero pieno di gioia pure io. Anche in queste condizioni, il mio più grande rimpianto e che non vedremo mai il figlio o figlia che sarebbe potuto diventare.



Solo il pensiero portГІ altro dolore, piГ№ acuto di qualsiasi colpo inflitto dalle guardie. Sarebbe dovuto tornare prima per liberare Stefania. Non avrebbe mai dovuto abbandonarla.

“Mi spiace,” sussurrò, sapendo che non ci sarebbe stato abbastanza spazio per scrivere tutto quello che voleva dire. Certo non poteva mettere tutti i suoi sentimenti su un pezzo di carta che poi avrebbe dato da consegnare a una sconosciuta. Sperava solo che questo fosse sufficiente.

Avrebbe potuto scrivere molto di più, ma quello era il succo del discorso. Il suo dolore perché le cose erano andate nel verso sbagliato. Il fatto che c’era stato dell’amore. Sperava bastasse.

Tano aspettГІ che la donna si avvicinasse di nuovo, fermandola con un braccio teso.

“Puoi portare questo alla signora Stefania?” le chiese.

La servitrice scosse la testa. “Mi spiace, ma non posso.”

“So che è molto chiederlo,” disse Tano. Capiva il rischio che stava chiedendo alla donna di correre. “Ma se qualcuno potesse portarglielo mentre è ancora rinchiusa…”

“Non è questo,” disse la donna. “Stefania non è qui. Se n’è andata.”

“Andata?” ripeté Tano. “Quando?”

La servitrice allargò le braccia. “Non lo so. Ho sentito una delle damigelle che ne parlava. È andata in città e non è mai tornata.”

Era scappata? Era riuscita ad andarsene fuori di lì senza il suo aiuto? La sua damigella aveva detto che era impossibile, ma forse Stefania aveva lo stesso trovato un modo? Poteva sperare che fosse così, no?

Tano ci stava ancora pensando quando si rese conto che l’attività attorno ai patiboli si era interrotta. Guardando bene, era anche facile capire perché. Avevano finito. Le guardie stavano in attesa accanto alla forca, in ovvia ammirazione del loro lavoro. Pendeva un cappio, nero, stagliato contro il cielo. Lì vicino c’erano una carrucola e un braciere. Torreggiante su tutto quanto c’era una ruota con delle catene fissate e un grosso martello sul pavimento accanto ad essa.

Ora poté vedere la gente che si riuniva. C’erano guardie in cerchio attorno ai lati del cortile che sembravano essere lì per evitare che altri interferissero, ma anche per assistere loro stessi alla morte di Tano.

In alto, affacciati alle finestre, Tano poté vedere servitori e nobili, alcuni che guardavano in basso con quella che pareva pietà, altri con i volti impassibili o con vero e proprio odio. Ne vide alcuni addirittura seduti sui tetti, intenti a guardare da lì dato che non erano riusciti a trovare un altro posto. Stavano trattando quella situazione come se fosse un evento sociale piuttosto che un’esecuzione, e un filo di rabbia crebbe in lui.

“Traditore!”

“Assassino!”

Calarono i fischi, seguiti da insulti e frutta lanciata dalla finestre, e quella fu la parte più dura. Tano aveva pensato che quella gente lo rispettasse, e che sapessero che non avrebbe mai fatto quello di cui lo accusavano, eppure inveivano contro di lui come fosse il peggiore dei criminali. Non tutti lo insultavano, ma erano in parecchi a farlo, e Tano si trovò a chiedersi se davvero lo odiassero così tanto, o se volessero solo mostrare al nuovo re e a sua madre da che parte stavano.

Lottò quando vennero a prenderlo, trascinandolo fuori dalla gabbia. Diede calci e pugni, si dimenò e cercò di liberarsi, ma qualsiasi cosa facesse non bastava. Le guardie gli presero le braccia, le girarono dietro alla schiena e gliele legarono. Tano smise di lottare allora, ma solo perché voleva avere un po’ di dignità in quel momento.

Lo condussero, passo dopo passo, al patibolo che avevano costruito. Tano salì senza dover essere spinto sullo sgabello che avevano sistemato sotto al cappio. Se fosse stato fortunato, magari la caduta gli avrebbe spezzato il collo, privandoli del resto del loro crudele sport.

Mentre gli mettevano il cappio attorno al collo si trovò a pensare a Ceres. A tutto ciò che sarebbe potuto essere diverso. Aveva voluto cambiare le cose. Aveva voluto che le cose andassero meglio, e aveva voluto stare con lei. Avrebbe voluto…

Ma non c’era tempo per i desideri, perché Tano sentì le guardie calciare via lo sgabello e il cappio stringersi attorno al suo collo.




CAPITOLO SEI


A Ceres non importava che il castello fosse l’ultimo impenetrabile bastione dell’Impero. Non le interessava che avesse pareti simili a ripide scogliere o porte capaci di sopportare le armi di un assedio. Tutto questo terminava qui.

“Avanti!” gridò ai suoi seguaci, e loro insorsero seguendo il suo esempio. Magari un altro generale avrebbe condotto dal retro, pianificando tutto con attenzione e lasciando che fossero gli altri a correre il rischio. Ceres non poteva farlo. Voleva fare a pezzi ciò che era rimasto del potere dell’Impero con le sue mani, e sospettava che metà del motivo per cui così tanta gente la stava seguendo fosse lo stesso.

Ora c’erano anche più persone di quante ce ne fossero state nell’arena. La gente della città era uscita nelle strade, la ribellione si era allargata di nuovo come braci ardenti nuovamente alimentate. C’erano persone vestite da mozzi e macellai, stallieri e mercanti. C’erano addirittura alcune guardie adesso, i colori imperiali strappati di fretta quando avevano visto l’ondata di gente che si avvicinava.

“Saranno pronti per il nostro arrivo,” disse uno dei combattenti accanto a Ceres mentre marciavano verso il castello.

Ceres scosse la testa. “Ci vedranno arrivare. Non è la stessa cosa che essere pronti.”

Nessuno poteva essere pronto per questo. A Ceres non poteva interessare quanti uomini avesse adesso l’Impero, o quanto forti fossero le loro pareti. Aveva un’intera città dalla sua parte. Lei e i combattenti correvano nelle strade, lungo la lunga via che portava ai cancelli del castello. Erano la punta della lancia, con la gente di Delo e ciò che era rimasto degli uomini di Lord West al seguito dietro di loro in una marea di speranza e rabbia popolare.

Ceres udì delle grida avanti mentre si avvicinavano al castello, e il suono di corni mentre i soldati cercavano di organizzare una qualche significativa difesa.

“È troppo tardi,” disse Ceres. “Non possono fermarci adesso.”

Eppure c’erano cose che potevano fare comunque, lo sapeva. Le frecce iniziarono a cadere dalle pareti, non tante quante quelle che avevano formato una pioggia mortale per le truppe di Lord West, ma pur sempre abbastanza pericolose per coloro che non avevano armatura. Ceres ne vide una colpire al petto un uomo accanto a lei. Un po’ più indietro una donna cadde gridando.

“Quelli che hanno scudo o protezione vengano a me,” gridò Ceres. “Tutti gli altri siano pronti all’attacco.”

Ma i cancelli del castello già si stavano chiudendo. Ceres ebbe la visione dei suoi seguaci come di un’onda che ci si schiantava contro, come contro lo scafo di una qualche grossa nave, ma non rallentò. Le onde potevano anche sommergere le navi. Anche quando i grandi cancelli sbatterono insieme con un suono simile al tuono, non si fermò. Sapeva solo che ci sarebbe voluto più sforzo per sconfiggere il male dell’Impero.

“Arrampicatevi!” gridò ai combattenti infilando le sue due spade nel fodero in modo da poter saltare sul muro. La pietra ruvida aveva abbastanza appigli per chiunque fosse abbastanza coraggioso da provarci, e i combattenti erano ben più che coraggiosi. La seguirono, le loro figure muscolose che tiravano verso l’alto lungo la parete come se fosse un ordinario esercizio di allenamento ordinato dal loro maestro d’armi.

Ceres udì quelli dietro di lei che chiedevano delle scale, e capì che la gente comune che faceva parte della ribellione li avrebbe presto seguiti. Per ora però si concentrò solo sulla granulosa sensazione della pietra sotto alle mani, sullo sforzo necessario per tirarsi da un appiglio all’altro.

Una lancia le passò accanto, ovviamente lanciata da qualcuno di sopra. Ceres si appiattì contro la parete lasciandola passare, poi continuò ad arrampicarsi. Fintanto che fosse rimasta sulla parete sarebbe stata un bersaglio, e l’unica soluzione era continuare ad avanzare. Ceres si trovò a sentirsi riconoscente che non avessero abbastanza tempo per preparare l’olio bollente o la sabbia incandescente come protezione contro la loro arrampicata.

Raggiunse la cima del muro e subito trovò una guardia pronta in difesa. Ceres era felice di essere la prima ad essere arrivata lassù, perché solo la sua velocità la salvò, permettendole di allungare le braccia e afferrare l’avversario tirandolo giù dal suo posto in cima al parapetto. L’uomo cadde con un grido, precipitando in mezzo alla furente massa dei suoi seguaci.

Ceres allora saltГІ sulla parete, sguainando entrambe le spade per tirare fendenti a destra e a sinistra. Un secondo uomo le si avventГІ contro e lei parГІ mentre lo spingeva, sentendo la lama che si conficcava. Una lancia arrivГІ di lato puntando alla sua parziale armatura. Ceres la respinse con forza brutale. Nel giro di pochi secondi si era tagliata uno spazio libero in cima alla parete, e i combattenti si riversarono oltre il varco.

Alcune delle guardie presenti cercarono di combattere per respingerli. Un uomo tentò di colpire Ceres con un’ascia. Lei si abbassò, udendo il tonfo mentre colpiva la pietra dietro di lei, poi gli piantò una delle sue spade nel ventre. Gli girò attorno, dandogli un calcio e gettandolo verso il cortile. Fermò un colpo con le lame e spinse indietro un altro uomo.

C’erano abbastanza uomini a protezione delle pareti. Alcuni fuggirono. Quelli che attaccarono, morirono. Uno corse incontro a Ceres con una lancia e lei lo sentì graffiarle la gamba mentre schivava senza spazio dove andare. Colpì in basso per azzoppare il suo aggressore e poi incrociò le lame all’altezza delle sua gola.

La sua breve strategia di ponte in cima alla parete rapidamente si espanse in qualcosa di simile a un’ondata frontale. Ceres trovò dei gradini che conducevano giù ai cancelli e li scese quattro alla volta, fermandosi solo per parare un colpo da una guardia che aspettava e ribattere con un calcio che mandò l’uomo a terra. Mentre il combattente dietro di lei saltava addosso alla guardia, l’attenzione di Ceres si spostò sui cancelli.

C’era una grossa ruota vicino ai cancelli, ovviamente lì per aprirli. C’erano almeno una dozzina di guardie attorno ad essa in cerchio, nel tentativo di proteggerla e tenere alla larga l’orda di gente di fuori. Altri stavano agli archi, pronti a colpire chiunque cercasse di aprire i cancelli.

Ceres corse verso la ruota senza esitare.

Colpì nel mezzo l’armatura di una guardia, tirò fuori la sua spada e si abbassò sotto al colpo di un altro. Fece ruotare la spada contro il suo polpaccio, saltò in piedi e ne colpì un terzo. Sentì una freccia colpire i sassi e tirò una lama sentendo le grida quando andò a segno. Rubò la spada di una guardia morente, si riunì alla battaglia e in un istante gli altri furono con lei.

Nei momenti successivi ci fu il caos, perché le guardie sembravano capire che quella era la loro ultima possibilità di tenere fuori la ribellione. Uno si presentò contro Ceres con due spade e lei lottò con lui colpo dopo colpo, sentendo l’impatto mentre parava ogni fendente, probabilmente più veloce di quanto la maggior parte degli altri potesse fare. Poi tirò fra i colpi prendendo la guardia alla gola e spostandosi in avanti prima che potesse collassare a terra, usandolo come scudo umano per parare il colpo di un’ascia diretto contro un combattente.

Non poteva salvarli tutti. Attorno a lei Ceres vedeva una violenza che sembrava non potersi mai fermare. Vide uno dei combattenti che era sopravvissuto all’arena che guardava una spada che gli trafiggeva il petto. Tirò verso il suo aggressore mentre cadeva, colpendolo con un ultimo colpo della sua lama. Ceres vide un altro uomo che lottava contro tre guardie. Ne uccise una, ma mentre lo faceva la sua lama rimase incastrata e un altro poté pugnalarlo al fianco.

Ceres si lanciò in avanti, abbattendo tutti quelli che erano rimasti. Attorno a lei la battaglia per la ruota che apriva la porta imperversò verso la sua inevitabile conclusione. Era inevitabile, perché di fronte ai combattenti le guardie apparivano come granturco maturo in attesa di essere mietuto. Questo però non rese certo la violenza meno reale, e neppure la minaccia. Ceres si abbassò giusto in tempo evitando un colpo di spada e tirò indietro l’aggressore in mezzo agli altri. Non appena lo spazio fu libero, Ceres mise le mani sulla ruota e spinse con tutta la forza datale dai suoi poteri. Sentì il cigolio delle carrucole e il lento scricchiolio delle porte che iniziavano ad aprirsi.

La gente si riversò all’interno inondando il castello. Suo padre e suo fratello furono tra i primi ad entrare e corsero ad unirsi a lei. Ceres fece cenno con la spada.

“Sparpagliatevi!” gridò. “Prendete il castello. Uccidete solo quelli che dovete uccidere. Questo è un momento di libertà, non di massacro. Oggi l’Impero cade!”

Ceres andò a capo dell’ondata di gente, dirigendosi verso la sala del trono. In tempi di crisi la gente sarebbe andata lì per cercare di capire cosa stesse succedendo, e Ceres immaginò che coloro che si occupavano del castello sarebbero rimasti fintanto che avessero osato, cercando di mantenere il controllo.

Attorno a lei vide la violenza che esplodeva, impossibile da contenere, impossibile da rallentare. Vide un giovane nobiluomo portarsi davanti a loro, e la folla gli andГІ addosso, colpendolo con qualsiasi arma potessero trovare. Una servitrice si mise in mezzo e Ceres la vide spinta contro il muro e pugnalata.

“No!” gridò Ceres vedendo alcune persone comuni che iniziavano ad afferrare la tappezzeria o a rincorrere i nobili. “Siamo qui per fermare tutto questo, non per fare razzia!”

Ma la verità era che era ormai troppo tardi. Ceres vide i ribelli rincorrere uno dei servitori, mentre altri afferravano gli ornamenti dorati che riempivano il castello. Aveva lasciato entrare là dentro un’ondata enorme, e ora non c’era speranza di farla tornare indietro solo con le parole.

Uno squadrone di guardie del corpo stava davanti alle porte del grande salone. Sembravano formidabili con le loro armature dorate, rigonfie in quella che appariva una finta muscolatura e decorate da immagini disegnate per intimidire.

“Arrendetevi e non vi faremo del male,” promise Ceres, sperando di poter mantenere la parola data.

Le guardie del corpo non si fermarono neanche. Si lanciarono in avanti con le spade sguainate e in un istante ci fu di nuovo il caos. Le guardie del corpo erano tra i migliori guerrieri dell’Impero, con abilità che derivavano da lunghe ore di allenamento. Il primo a lanciarsi in avanti fu abbastanza veloce che anche Ceres dovette portare la sua lama in alto abbastanza nettamente da intercettare il colpo.

Parò di nuovo e la sua seconda lama scivolò attorno a quella della guardia del corpo colpendo l’uomo alla gola. Accanto a lei poté udire i versi di gente che lottava e moriva, ma non osò guardarsi indietro. Era troppo impegnata a respingere un altro avversario, spingendolo nell’ondeggiante mischia.

Poi non ci furono altro che corpi che crollavano. Le spade sembravano emergere dalla massa come da una vorticante pozza di carne. Vide un uomo schiantato contro le porte, spinto lì dal peso della gente dietro di lui, proprio come spingevano lei in avanti.

Ceres aspettГІ fino a che non fu piГ№ vicina, poi diede un calcio alla porta della grande sala. I cancelli dei castello erano stati solidi, ma queste si aprirono di schianto sotto il potere del suo colpo, ruotando indietro fino a sbattere contro le pareti da entrambi i lati.

All’interno della grande sala Ceres vide gruppi di nobili che aspettavano come se insicuri su dove andare. Sentì diverse delle nobildonne che gridavano come se alcune orde di assassini fossero discesi su di loro. Da dove stavano Ceres immaginò che probabilmente non fosse poi tanto diverso dal solito.

Vide la regina Atena in mezzo al gruppo, seduta sull’alto trono che doveva essere stato del re, affiancata da un paio delle più robuste guardie del corpo lì presenti. Corsero in avanti all’unisono e Ceres avanzò per affrontarle.

Fece piГ№ che avanzare: rotolГІ.

Si lanciГІ in avanti tuffandosi sotto le lame che ruotavano, rimbalzando e rialzandosi con un fluido movimento. Si girГІ fendendo con entrambe le sue spade insieme e colpendo le guardie del corpo con tanta forza da perforare le loro armature. I due caddero senza emettere suono.

Un rumore riecheggiГІ al di sopra del fragore delle lame alla porta: la regina Atena che batteva le mani con deliberata lentezza.

“Oh, molto bene,” disse mentre Ceres si girava verso di le. “Molto elegante. Degna di ogni giullare. Quale sarà il tuo prossimo numero?”

Ceres non abboccГІ alla sua esca. Sapeva che ad Atena non erano rimaste altro che le parole. Ovviamente avrebbe cercato di trarne il massimo.

“Poi porterò l’Impero alla fine,” disse Ceres.

Vide la regina Atena fissarla con uno sguardo impassibile. “Con te al suo posto? Ecco che arriva il nuovo Impero, uguale al vecchio.”

Questo andГІ piГ№ a segno di quanto Ceres avesse voluto. Aveva udito le grida dei nobili mentre i ribelli con lei si erano sparpagliati come un incendio selvaggio nel castello. Aveva visto alcuni di quelli che avevano abbattuto.

“Io non sono per niente come te,” disse Ceres.

Per un momento la regina non rispose. Invece rise, e alcuni dei nobili si unirono a lei, ovviamente da lungo abituati a ridacchiare a comando quando la loro regina trovava divertente qualcosa. Altri sembravano fin troppo spaventati e si ritrassero.

Allora Ceres sentì la mano di suo padre sulla spalla. “Non sei per niente come loro.”

Ma non c’era tempo di pensare a questo, perché la folla attorno a Ceres stava diventando inquieta.

“Cosa facciamo con loro?” chiese uno dei combattenti.

Un ribelle diede una rapida risposta. “Uccidiamoli!”

“Uccidiamoli! Uccidiamoli!” divenne un canto e Ceres vide l’odio crescere in mezzo alla folla. Assomigliava fin troppo alle grida che c’erano state nell’arena, desiderose di sangue. Che chiedevano sangue.

Un uomo si fece avanti diretto verso una delle nobildonne con un coltello in mano. Ceres reagì di istinto e questa volta fu veloce abbastanza. Andò a colpire l’aspirante assassino e lo fece cadere in modo che potesse fissarla da terra scioccato.

“Basta così!” gridò Ceres e nella stanza calò per un momento il silenzio.

Si guardГІ attorno, facendoli vergognare e retrocedere, incontrando i loro sguardi senza riguardo per chi fossero.

“Niente più uccisioni,” disse. “Niente più.”

“E allora cosa ne facciamo?” chiese un ribelle indicando i nobili. Era ovviamente più coraggioso del resto, o magari semplicemente odiava di più i nobili.

“Li arrestiamo,” disse Ceres. “Papà, Sartes, potete occuparvene? Accertatevi che nessuno li uccida, né faccia male a qualcun altro.”

Poteva immaginare tutti i modi in cui sarebbe potuta andare storta. C’era così tanta rabbia tra le gente della città e tra tutti coloro che avevano subito torti dall’Impero. Sarebbe stato facile che questo si trasformasse in qualche sorta di massacro nello stile di Lucio, con gli orrori in cui Ceres non avrebbe mai voluto trovarsi coinvolta.

“E tu cosa farai?” chiese Sartes.

Ceres poteva capire la paura che sentiva in questo. Suo fratello aveva probabilmente pensato che lei sarebbe stata lì per organizzare tutto, ma la verità era che non c’era nessuno più di lui di cui Ceres si fidasse.

“Devo finire di conquistare il castello,” disse Ceres. “A modo mio.”

“Sì,” disse la regina Atena intromettendosi. “Impregna le tue mani di altro sangue. Quante persone sono morte fino ad ora per i tuoi cosiddetti ideali?”

Ceres avrebbe potuto ignorarla. Sarebbe potuto andare via e basta, ma c’era qualcosa della regina che semplicemente era impossibile tralasciare, come una ferita non ancora del tutto guarita.

“Quanti sono morti così che tu potessi prendere loro quello che volevi?” ribatté Ceres. “Hai fatto così tanto per fare a pezzi la ribellione, quando avresti potuto semplicemente ascoltare e imparare qualcosa. Hai fatto del male a tantissime persone. E la pagherai cara.”

Vide il sorriso teso della regina. “Senza dubbio con la mia testa.”

Ceres la ignorГІ e fece per andarsene.

“Eppure,” disse la regina Atena. “Non sarò sola. È troppo tardi per Tano, cara.”

“Tano?” disse Ceres, e la parola bastò a farla fermare. Si girò verso il trono dove la regina Atena ancora sedeva. “Cos’hai fatto? Dov’è?”

Vide il sorriso della regina allargarsi. “Davvero non lo sai, eh?”

Ceres poteva sentire la rabbia e l’impazienza che salivano. Non per il modo in cui la regina si stava prendendo gioco di lei, ma per ciò che sarebbe potuto significare se Tano fosse stato veramente in pericolo.

La regina rise ancora. Questa volta nessuno la imitò. “Hai fatto tutta la strada fino a qui, e non sai neanche che il tuo principe preferito sta per morire per aver assassinato il suo re.”

“Tano non avrebbe mai assassinato nessuno!” insistette Ceres.

Non sapeva perchГ© doveva dirlo. Sicuramente nessuno credeva veramente che Tano potesse mai fare qualcosa del genere!

“Eppure morirà per questo,” rispose la regina Atena, con una nota di calma che fece correre Ceres verso di lei e puntarle la lama alla gola.

In quel momento tutti i pensieri di fermare la violenza caddero dimenticati nella sua mente.

“Dove si trova?” chiese “Dove si trova?”

Vide la regina impallidire e ci fu una parte di Ceres felice di questo. La regina Atena meritava di avere paura.

“Il cortile meridionale, è lì in attesa della sua esecuzione. Vedi, non sei diversa da noi.”

Ceres la trascinò giù dal trono. “Qualcuno la prenda prima che faccia qualcosa di cui potrei pentirmi.”

Ceres corse fuori dalla sala, facendosi strada in mezzo ai combattimenti che la circondavano. Dietro di sé sentì la regina Atena che rideva.

“Sei arrivata troppo tardi! Non arriverai mai in tempo per salvarlo.”




CAPITOLO SETTE


Stefania stava seduta guardando l’orizzonte, facendo del suo meglio per ignorare i sussulti della barca e cercando di giudicare il momento giusto per uccidere il capitano.

Che dovesse farlo non era da mettere in dubbio. Felene era stata come un dono dagli dei quando Stefania e la sua damigella l’avevano incontrata a Delo. Felene era stata il mezzo per uscire dalla città, e un mezzo per raggiungere Cadipolvere. E tutto datole da Tano stesso.

Ma dato che era di Tano, doveva morire. Il solo fatto che gli fosse così leale da portarle tanto distante significava che era troppo leale per fidarsi di tutto ciò che Stefania intendeva fare poi. L’unica questione ora era il tempismo.

Quella era un’azione da bilanciare. Stefania sollevò lo sguardo e vide gli uccelli di mare che volavano sopra le loro teste.

“Sono un segno che ci stiamo avvicinando a riva, no?” chiese.

“Molto bene, principessa,” disse Felene spostandosi da dove si trovava e cercando di spiegare ad Elethe come pescare e standole leggermente più vicino di quanto fosse necessario. La familiarità del suo tono fece venire la pelle d’oca a Stefania, ma lei fece del suo meglio per mascherarlo.

“Quindi saremo presto arrivate?”

“Ancora un po’ e vedremo la terraferma,” disse Felene. “Un altro attimo dopo quello e raggiungeremo il villaggio di pescatori dove Elethe dice che troveremo la gente di suo zio. Perché? Felice di smettere di vomitare?”

“Felice di fare un sacco di cose,” rispose Stefania. Anche se rimettere finalmente i piedi a terra era una di quelle. Le nausee della mattina non andavano perfettamente a braccetto con il mal di mare.

Era solo uno dei motivi per cui aveva bisogno di uccidere Felene il prima possibile. Prima o poi si sarebbe resa conto che Stefania era incinta, e questo non calzava con la storia che le aveva raccontato di Lucio che l’aveva costretta a bere la pozione.

Quando l’avrebbe capito? Non sarebbe potuto essere più ovvio ora a Stefania che era incinta, il vestito che le stava teso sulla pancia sempre più larga, il corpo che sembrava cambiare in così tanti modi mentre quella vita cresceva dentro di lei. Si mise automaticamente una mano sull’addome con l’intento di proteggere la vita dentro di lei, volendo che crescesse e diventasse forte. Ma Felene continuava a trascorrere il suo tempo con Elethe, così distratta dal suo bel viso.

Quella era un’altra cosa da considerare nel pensare a come agire. Stefania doveva lasciar passare il tempo sufficiente da permettere loro di arrivare abbastanza vicini alla terra, ma più il tempo passava e più c’era il pericolo che la lealtà della sua damigella venisse messa alla prova. Per quanto Felene fosse utile, Elethe lo sarebbe stata ancora di più nell’aiutarla a trovare lo stregone. E poi la damigella era sua.

Ma per ora Stefania aspettava, perché non voleva dover guidare quella bagnarola quando ancora non c’era terraferma in vista. Aspettava e guardava mentre Felene aiutava la sua damigella a tirare su un grosso pesce, decapitandolo con un coltello dall’aspetto molto affilato. Solo il fatto che la guardasse mentre lo faceva le fece capire che il suo tempo stava per scadere.

I pensieri del motivo per cui si trovava lì spinsero Stefania ad agire, rinsaldando la sua risoluzione. Cadipolvere ospitava lo stregone che aveva ucciso gli Antichi. Cadipolvere le avrebbe fornito un modo per eliminare Ceres. Dopodiché… dopodiché avrebbe potuto occuparsi di Tano, facendo di suo figlio l’arma di cui aveva bisogno.

“Non doveva andare così,” disse Stefania, alzandosi in modo da poter guardare oltre il parapetto.

“Cosa c’è, principessa?” chiese Felene.

“Ho detto, è terra quella laggiù?” chiese Stefania.

Lo era, la polvere nera della costa che si ergeva all’orizzonte. All’inizio apparve solo come una debole linea tra le onde, che si sollevava come una specie di sole di roccia, ma poi iniziò a riempire lo sguardo di Stefania.

“Ehi,” disse Felene portandosi al parapetto e guardando in fuori. “Presto sarete al sicuro sane e salve sulla terraferma, principessa.”

Stefania affondò la mano nel suo mantello. Con infinita cura, nota solo a coloro che lavoravano con i veleni, afferrò un dardo. “Felene, c’è una cosa che volevo dirti da quando siamo partite.”

“Cosa, principessa?” chiese Felene con un sorrisino di scherno.

“È semplice,” rispose Stefania sorridendo a sua volta. “Non chiamarmi principessa!”

La sua mano scattГІ, il dardo scintillГІ alla luce del sole portandosi verso la pelle scoperta del volto di Felene.

Il dolore le si sprigionò nel polso e ci volle a Stefania un momento per rendersi conto che Felene aveva sollevato il gomito e lei ci era andata a sbattere contro con il braccio. La mano di Stefania si aprì in uno spasmo e il dardo rimbalzò a terra.

E poi il dolore si propagò alla guancia quando Felene la schiaffeggiò, abbastanza forte da farla quasi ruotare. Non era il delicato e femmineo schiaffetto di una nobildonna. Era il colpo dato da un marinaio e c’era del peso in esso, tanto che Stefania si sedette pesantemente sulle tavole del ponte.

“Pensi che sia stupida?” chiese Felene. “Pensi che non sappia che lavori a questa cosa da quando siamo partite?”

“Io…” iniziò Stefania, ma il ronzio nelle orecchie non le permise di andare avanti.

“Sei fortunata che porti in grembo il figlio di Tano, o adesso ti darei direttamente in pasto agli squali!” disse Felene seccamente. “Oh sì, ho visto i segni! E ora sono dibattuta se venderti a un mercante di schiavi, ucciderti non appena il figlio di Tano sarà nato o semplicemente dire che l’intera faccenda è stata un cattivo affare e tornare subito a Delo!”

Stefania fece per alzarsi in piedi e Felene la spinse di nuovo giù. “Oh no, principessa, puoi startene dove sei. È più sicuro per tutti noi così, fino a che non troverò un pezzo di fune per legarti all’albero maestro.”

Allora Stefania guardГІ oltre, verso Elethe. Le diede un minimissimo cenno, sperando che bastasse.

BastГІ. La damigella sguainГІ una lama corta e curva e si lanciГІ in avanti. Sembrava che Felene fosse pronta anche per quello perГІ, perchГ© si girГІ e parГІ il primo colpo con il suo pugnale giГ  pronto in mano.

“Peccato,” disse Felene. “Avremmo potuto divertirci un sacco. Sono sopravvissuta all’Isola dei Prigionieri. Pensate che non possa gestire voi due?”

Stefania dovette sedersi ad ammirare il combattimento che seguì per un momento, e non solo perché la testa le stava ancora girando per lo schiaffo di Felene. Normalmente non aveva tempo per i giochi di lame, o per le attente abilità dei guerrieri. Quelle due però facevano danzare i loro coltelli alla luce del sole mentre si muovevano, con le mani che afferravano a vicenda le braccia dell’altra, alla ricerca dei giusti angoli. Stefania vide Felene scegliere un calcio basso, e poi schivare un colpo. Si portò vicino ad Elethe, lottando con lei mentre entrambe cercavano di conficcare le loro armi al posto giusto.

Fu a quel punto che Stefania si alzГІ in piedi, sguainГІ il suo coltello e lo piantГІ nella schiena di Felene.

Stefania la vide cadere in ginocchio, il volto colto dalla sorpresa mentre metteva una mano sulla ferita. Il suo coltello cadde sul ponte mentre le sue dita si aprivano.

“Non sono per niente stata sull’Isola dei Prigionieri,” disse Stefania. “Quale di noi è più furba?”

Felene si girГІ verso di lei, ma Stefania vide che anche quello le costava fatica. Sorrise ad Elethe.




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